L’innovazione e la ricerca del settore automotive: questa è la mission di Meccanica 42, spin-off dell’Università degli Studi di Firenze e una delle aziende selezionate della quarta edizione di FABER. Scopriamo di più sulle potenzialità e gli obiettivi del progetto vincitore, attraverso la testimonianza del ricercatore Alessio Anticaglia e di Claudio Annicchiarico, CEO dell’azienda.
Ciao, piacere di conoscervi. Vi andrebbe di raccontarci come siete entrati in contatto con il programma e quali vantaggi il progetto ha offerto all’azienda?
C. A.: Certamente, la nostra storia è da sempre strettamente connessa alla ricerca e all’ateneo fiorentino. Adesso abbiamo una nostra sede completamente al di fuori, ma manteniamo un rapporto costante con l’incubatore che ci ha ospitato e che ci ha trasmesso la possibilità di partecipare al progetto FABER. Lo conoscevamo già, ma ancora non avevamo scelto di candidarci.
Inizialmente vedevamo questo mondo più legato alla ricerca di base, ma lo abbiamo sempre sostenuto. Lo finanziavamo per una esigenza di tipo prospettico, per mandare avanti lo studio delle tecnologie di settore. Dopo il Covid abbiamo invece deciso di investire nello sviluppo, spostando una parte del personale nella sezione R&D. Ed è stato proprio qui che è entrato in gioco FABER. Ci ha permesso di inserire in azienda un ricercatore nostro e di dargli la possibilità di mettere in pratica le metodologie, le tecniche e le teorie accademiche. Era l’opportunità di far crescere una risorsa che era già all’interno del mondo industriale e che poteva alimentarlo con la cultura accademica.
A. A.: Esattamente, io stavo lavorando presso un’azienda da qualche mese. Ero già inserito in un contesto industriale e avevo già visto le differenze tra i due mondi. Questa possibilità mi ha permesso di concentrare le due esperienze in un’unica offerta e di vedere entrambe le facce della medaglia, senza dover compiere una scelta di tipo esclusivo. Per me ha rappresentato un’occasione importante.
Quali sono i benefici che il nuovo progetto di ricerca apporterà all’azienda e al settore di riferimento?
C. A.: Per comprendere al meglio il progetto, introduco il contesto aziendale nel quale si è inserito. Meccanica 42 sviluppa tecnologie per chi produce veicoli o componenti. Oggi le vetture sono da considerare maggiormente come degli “aggregati di funzioni”, come la guida autonoma o l’infotainment. Prima i freni dovevano soltanto frenare, ora a questi componenti sono richieste molte funzioni ulteriori.
Noi proponiamo dispositivi che permettono di sviluppare e validare queste funzionalità, sia facendo test a bordo vettura sia in ambiente virtuale: nel primo caso consentendo l’accesso a funzionalità chiuse, come se fossimo degli “hacker delle vetture”, nel secondo invece, creando un modello digitale della vettura. Impiegando questi modelli all’interno di stazioni di simulazione, possiamo provare componenti veri e vedere come questi si integrano tra di loro e mettono in pratica le funzioni previste in un modo ripetibile, sicuro e sostenibile.
Questo comporta un grosso lavoro di integrazioni, poiché riguarda componenti molto diversi all’interno di un’unica vettura. C’è una parte inventiva, creativa, e c’è una parte tecnica (o “specialistica”) ma ripetitiva
che non chiede un contributo ‘nobile’ allo sviluppatore, a cui è richiesto invece di compiere ciclicamente le stesse operazioni in maniera ripetitiva. Per ovviare a questa dinamica, abbiamo deciso di sviluppare una piattaforma in grado di snellire il lavoro dell’ingegnere, cosicché possa in futuro focalizzarsi maggiormente sul dare il proprio contributo originale. Alessio sta attivamente analizzando tutte quelle operazioni del suo lavoro che potrebbero essere convertite e separate dalla routine lavorativa.
A. A.: Il mio progetto di ricerca ha come obiettivi l’ottimizzazione del tempo e il miglioramento della qualità del lavoro. L’automotive è un mondo in progresso costante e ci sono sempre nuove innovazioni che vanno dalle grandi fasce economiche a quelle più piccole. Ottimizzare i processi di sviluppo favoriscel’integrazione di nuove tecnologie, in ottica di ecologia e sicurezza.
Da questo nascerà una piattaforma software, non propriamente tangibile se non in dispositivi che comunicano con protocolli sui nostri dispositivi, come ad esempio il banco sterzo. Per integrare una scatola di guida sul simulatore è richiesta difatti una serie di operazioni che possono essere automatizzate. In tal modo, il cliente potrebbe fare degli upgrade di rilievo. È possibile in questo modo spostare la programmazione a un livello più alto, avere una visione d’insieme della programmazione, sfruttare al massimo le doti dell’ingegnere. Anche l’ora lavorata avrà a sua volta un valore più alto.
Qual è per voi il valore del trasferimento tecnologico?
C. A.: Trasferimento tecnologico? Senza moriamo, noi proponiamo innovazione e quindi abbiamo costantemente bisogno di capire come si sta evolvendo la ricerca e come adattarla alla nostra impresa. Noi facciamo da ponte tra la ricerca che va da sé e le logiche del mondo aziendale. Non è detto che sia applicabile tout court in tutti gli ambiti, ma nel nostro è vitale. Deve senza dubbio mirare a tutti quei settori che sono trainati dalle tecnologie.
A. A.: Nel nostro settore bisogna sempre guardare all’importanza del trasferimento tecnologico e far sì che tutto ciò che si apprende resti come linea guida e diventi un vero e proprio approccio a livello aziendale. È un aspetto critico che non sempre viene compreso. Ritengo che chi si occupa di ingegneria debba sempre avere un occhio rivolto alla ricerca anche se non si tratta di un’azienda improntata sull’innovazione.